lunedì 30 maggio 2011

Chi siete? Dove andate? Sì, ma quanti siete? Un fiorino!

"Non ci resta che piangere", un grandissimo film, uno dei miei preferiti. Troisi e Benigni in un viaggio nel tempo che ti fa ammazzare delle risate. In particolare la scena della dogana, con i due protagonisti alle prese con un dazziere un po' rinco, che gli chiede in continuazione chi fossero, dove andassero, si ma quanti fossero...per poi presentare il conto: Un fiorino! Una, due, tre volte...Grande scena, grandi attori.
Qualche tempo fa ho scritto un post sul viaggio, una comparazione tra cosa è il viaggio e come esso rappresenti secondo me una bella metafora della vita. In questo post, era vagamente accennato un altro tema che mi sta molto a cuore: quello della scelta e delle sue ripercussioni.
Il film mi ha fatto tornare su questo pensiero..porsi domande del tipo "Chi sono?", "Dove sto andando?" è abbastanza comune soprattutto quando fai bilanci, quando devi prendere decisioni importanti, magari quando ti è arrivata una bella delusione.
Si cercano scusanti o spiegazioni, molto spesso alibi, si ragiona col senno del poi, ah se avessi fatto questo...ah se tornassi indietro farei questo...ah qui...ah li...Insomma, nell'errore la mistificazione del rimpianto.
A questo tipo di domande, seguono risposte che anzichè darti la carica per ripartire, ti fanno scivolare ancora un po' più giù, ti fanno venire la nostalgia del passato e di momenti che non torneranno, ti fanno rosicare di non aver fatto questo o quello. Morale della favola, piangere sul latte versato non fa altro che farti perdere altro tempo prezioso, in cui potresti fare altre scelte, vivere altre esperienze, commettere altri errori, gioire di altre soddisfazioni.
Cambiare prospettiva è fondamentale. Le scelte fatte raramente sono mutabili a costo zero. Raramente non lasciano strascichi e, per quanto si voglia dimenticarle, qualche segno lo lasciano sempre.
Per quanto mi riguarda, giuste o sbagliate che siano a posteriori, non rimetto mai in discussione le scelte fatte a priori. Ciò che ho fatto è ciò che, con la mia conoscenza della situazione e con la mia sensibilità del momento, ha rappresentato la cosa migliore. Non avrei potuto fare diversamente se non quello che ho fatto. In caso contrario SI avrei avuto un rimpianto o un rimorso. Se qualcuno avesse scelto per me, sarebbe stata la vita di qualcun altro, e questo mi avrebbe fatto incazzare.
Scelgo, sbaglio, pago.
Ciò che sono è ciò che ho scelto e che scelgo quotidiamente di essere.

giovedì 26 maggio 2011

Lasciate che i pargoli vengano a me..

Non credo che quando Cristo disse questa frase, citata nel Vangelo secondo Matteo (cap.XIX v.14), avrebbe mai immaginato come i suoi Ministri sulla Terra l'avrebbero poi messa in pratica.
"Lasciate che i pargoli vengano a me", alle porte del Tempio, rappresentava un invito ai saggi affinchè i bambini fossero accolti e, protetti dall' abbraccio dell'amore incondizionato, potessero apprendere il mistero della Fede e vivere, su quell'insegnamento, nell'amore e nella gioia.
I racconti della vita scelerata di Don Seppia e di tutti gli altri preti pedofili tutto sono tranne che storie di amore e gioia. Bambini affidati alle cure dei parroci da genitori inconsapevoli, che tutto avrebbero immaginato tranne che, nell'allegria dell'oratorio o nella sacralità della Sacrestia, si consumavano in realtà crimini orrendi.
Orrenda è l'immagine di un uomo che offre cocaina in cambio di sesso ad un bambino, orrenda è l'immagine di un uomo che sfrutta la povertà di un orfano per soddisfare la sua fame di peccato, orrenda è la collusione di chi sapeva, poteva e taceva, orrenda è la cecità di chi ancora si ostina a negare.
Orrenda è l'immagine di tutte queste cose fatte da un'autorità di garanzia morale.
La condanna di Bagnasco suona solo come un atto dovuto, chiudi il cancello dopo che le mucche sono scappate. Storie vecchie di chi, ormai adulto, trova il coraggio di ribellarsi. Denunce cadute nel vuoto, tentativi di mettere a tacere col denaro, allontamenti repentini non risolvono il problema, lo nascondono al giudizio dell'opinione pubblica e espongono altri a rischi indicibili.
Di questo ha bisogno la Chiesa per mantenere il proprio ruolo politico nel mondo? E' talmente tanto fragile che non può ammettere l'esistenza di mele marce e punirle in modo giusto? Perchè non rimettersi alla giustizia ordinaria? Cosa potrebbe venir fuori? Forse la verità, e questo spaventa.
Il sacramento della Cresima rende tutti i cresimati un soldato di Cristo, anche a questa guerra dico che non sia fatta nel mio nome.

lunedì 16 maggio 2011

La Babele de no' artri

Auotogrill. Un fila immensa di persone aspetta alla cassa.
Supponevo che ci sarebbe stata gente in coda, appena parcheggiata la macchina avevo visto quattro autobus con relativi capannelli umani che si sgranchivano e fumacchiavano in attesa di ripartire. Serpentone pure davanti al bagno.
Vabbè prendo prima il caffè, poi "espleto" un'altra funzione (un fax urgentissimo da mandare), poi riparto.
Sono in tempo e poi, chissenefrega, chi mi aspetta pazienterà altri cinque minuti.
La porta scorrevole si apre e, come volevasi dimostrare, mi aggiungo anche io alla coda. In certe situazioni, le richieste sono sempre le stesse: "Un caffè lungo, uno corto macchiato freddo, uno corto in tazza grande macchiato caldo (??), per me un cornetto alla marmellata".
Qui la situazione è diversa. Le persone in coda sono tutte spagnole e non spiccicano una parola di italiano. Le due lingue più o meno si somigliano, non è swahili o lettone, voglio dire, due lingue neolatine in cui anche le parole, per assonanza, sono assolutamente comprensibili.
La prima volta che sono andato a Santiago de Compostela, un avvocato galiziano si complimentò con me per il mio accento, benchè io non avessi mai parlato spagnolo in vita mia.
Vabbè, comunque, c'era qualche problema alla cassa. Una signora faceva da intermediaria per un gruppetto di anziani, teneva due bottiglie di acqua naturale in mano e continuava a dire al cassiere (decisamente in difficoltà): "Dos mas! Dos mas" (altre due! Altre due!).
Scena comica. Il commesso, visibilmente in difficoltà continuava ad indicare il bancone davanti a sé, dicendo: "Me lo devi passare il MARS, devo passare il codice!!". Tutto questo davanti a decine di persone perplesse.
Dal fondo si sente una voce, la mia, che dice: "Altre due bottiglie d'acqua per favore, non il mars".
Una simpatica vecchietta dal cappellino giallo si gira e, esausta, mi fa: "Gracias..."
Sospiro di sollievo generale, la fila scorre, si riparte.

lunedì 9 maggio 2011

ANGOLO LIBRI - Adesso basta

Ultima lettura...decisamente promettente, abbastanza deludente. Della serie: "il ragazzo ha del potenziale, ma non si applica abbastanza".
Ecco, se dovessi definire questo libro con un concetto, estremamente sintetico, direi che il tema è potenzialmente esplosivo, ma che lo svolgimento purtroppo non è degno di nota.
Molto brevemente, l'autore (Simone Perotti) affronta la questione downshifting da un punto di vista estremamente personale, mostra infatti la sua storia, per quale motivo e cosa lo ha spinto a fare la scelta che ha fatto, ovvero impostare un cammino di vita che lo ha portato, intenzionalmente, a rinunciare a tutto quello che aveva per una vita più libera. L'analisi è molto articolata e tratta nello specifico le varie fasi che il perfetto downshifter dovrebbe percorrere per arrivare all'obiettivo che, primo fra tutti, va definito. Coraggio e motivazione sono i valori fondanti, rinuncia e razionalizzazione le parole chiave, libertà e recupero del sé le grandi mete. L'autore, un po' presuntuosamente forse, asserisce che chiunque non abbia coraggio non può leggere questo libro, perchè lo stesso lo porterà a distruggere uno per uno i vincoli che ciascuno di noi pone al cambiamento. Se arrivi alla fine della lettura, non avrai più scuse per tirarti indietro, se non agisci sarà solo colpa tua e non avrai altri capri espiatori a cui addossare la tua vigliaccheria.
Beh..concetto interessante, chissà quali verità rivelate un lettore interessato (al tema) potrà trovare in questo libretto! La lettura scorre molto veloce, la narrativa non è raffinata, alcuni periodi risentono, anche nella forma, del tentativo dell'autore di galvanizzare e fomentare, di eccitare le menti all'azione. Ne viene fuori un libro che si spiega da sè, e questo lo apprezzo sempre, niente letture tra le righe, niente voli pindarici, poca suspence e nessuna aspettativa che il prossimo capitolo sia meglio. Insomma: piatto. E questo è quello che non vorrei mai trovare in un libro in cui ho creduto.
Ad un certo punto la svolta, in particolare all'altezza del capitolo "Facciamo un po' di conti". Francamente, lette quelle pagine, se non ne fossero mancate poche, non sarei andato oltre.
Perchè dico questo? Perchè si parla delle condizioni necessarie e sufficienti al downshifter..che riassumerei in tre principali:
  1. essere un professionista giovane, brillante in carriera
  2. avere hobby estremamente fighi che padroneggi in maniera quasi professionale
  3. guadagnare almeno 3500 euro al mese, naturalmente netti
Facile no? Se facessi un breve sondaggio, troverei centinaia di aspiranti downshifter...Se sei ricco, figo, bravo a fare un sacco di cose e adeguatamente scazzato da dire "Mi sono rotto le palle del Porsche perchè perdo tempo a parcheggiarlo", puoi cambiare vita, in fondo perchè dovresti continuare a torturarti?
Al netto di questo, pur non condividendo le modalità, segnalo comunque che l'obiettivo del Perotti è assolutamente interessante e degno di essere declinato, magari, in altri modi.
Riportare l'attenzione sulle cose vere (sulle amicizie, gli affetti, le passioni..), rimodulare il proprio paniere dei consumi in modo meno elitario (separando i bisogni veri da quelli indotti), ridare valore alla manualità e alla centralità dell'individuo sono forse la ricetta per vivere meglio diffusamente. Essere meno schiavi dell'esteriorità è la buona ricetta per superare il panico da "Mi si è rotto il palmare" o da "Cazzo non ho l'I-pad" e per godere di una passeggiata in riva al mare a costo zero.
Si può essere felici con ciò che si ha, semplicemente ridandogli valore, anche per rispetto di chi tutte queste fortune non le ha mai avute e campa dignitosamente, con spirito d'iniziativa e sacrificio ogni giorno.
Morale della favola, non mi è molto piaciuto, in linea generale. Ma una cosa SI l'ho molto apprezzata, la bibliografia e le citazioni. L'autore offre decine di spunti di riflessioni parafrasando e citando autori importanti, mi ha dato indirettamente molti consigli per nuove letture. Di questo gli va dato atto.
"Adesso basta" è un ipertesto che espone poco, ma raccoglie tanto, e questo già contribuisce alla causa.

giovedì 5 maggio 2011

Scurdámmoce 'o ppassato, simmo 'e Napule paisá!...

Pochi giorni alla tornata elettorale. Manifesti cittadini e spot televisivi incitano alla demagogia e alla politica del fare (alla demagogia appunto, ribadisco). Nuovamente a Napoli si torna a parlare dell'emergenza rifiuti, un problema che pare non aver soluzione, una piaga che affligge un popolo e che niente e nessuno sembra poter debellare.
Tutti tranne uno! Tutti gli scugnizzi dei quartier spagnoli lo incitano all'azione con i loro: "Gigante, pensaci tu!", e il Gigante Amico, calzati i tacchi della festa, spazza via in un solo colpo Jo Condor che, poveretto, non può altro che dire "Ma mi lasci... non c'ho la mutua!" (pubblicità delle merendine Ferrero durante Carosello).
La metafora ci sta a pennello. Naturalmente, i ruoli sono chiari. Inutile spendere altre parole sull'amico gigante. Le spendo invece sul gigante problema.
E' vero, i rifiuti a Napoli sono un problema, ma il vero problema a Napoli è la volontà di risolverlo sto problema. Ciclicamente, gli indici di gradimento impongono che si faccia qualcosa, alla svelta, operativamente, trovare una soluzione (Ma si subito! Che ci stiamo a pensare!). Il Governo del fare interviene, con decine di militari e mezzi del genio demansionati al ruolo di spazzini (con notevole danno all'erario se si pensa che le aziende municipalizzate sono già pagate per farlo).
Lunedì la scena si ripeterà, mercoledì massimo giovedì la città tornerà a splendere, telecamere e flash incoroneranno il gigante buono per aver salvato la Patria, poi i riflettori si spegneranno...e lunedì saremo di nuovo da capo a dodici. Ca a munnezza 'n miezz a via.
La soluzione è semplice da definire e impossibile da perseguire. Non è incrementare la differenziata, i poveri cittadini napoletani possono anche riempirsi la casa di secchi e sacchi, possono lavare il tetrapak e i barattoli della pummarola, possono compostare il compostabile e smettere di usare piatti e bicchieri usa e getta...ma tanto a munezza siempre n' coppa a via resta.
Ci resta perchè chi dovrebbe raccoglierla non PUO' farlo, perchè i cancelli delle discariche rimangono in-spiegabilmente CHIUSI, perchè i termovalorizzatori non termovalorizzano, ma si de-valoratermalizzano (rimanendo SPENTI).
Di fondo, l'emergenza rifiuti si condensa in due concetti: collusione e paura. Agendo su questi, il problema si risolve, ma senza le ruspe e i compattatori, e soprattutto senza la demagogia, ma con la trasparenza e la giustizia.
Carosello aveva ragione: "Ma che c'ho scritto Jo Condor????"

mercoledì 4 maggio 2011

Italia ribelle, ovvero "rivoluzione è resistenza"

Quest'anno ho partecipato al concerto del primo maggio a Viterbo. Oltre ogni aspettativa, mi è molto piaciuto: gruppi reggae emergenti e grandi classici (per me sconosciuti) del panorama musicale-alternativo della Provinicia si sono esibiti sul palco nello splendido scenario di Valle Faul. Una bella festa in cui si è celebrato il lavoro, oggetto nobilitante l'uomo e suo grande desiderio, per molti disatteso. Gli artisti, oltre a prodigarsi nelle proprie performance, hanno approfittato di questo spazio e del contesto per lanciare messaggi importanti, per ringraziare i sindacati e sancirne il valore imprescindibile in una società marcio-capitalista, per ribadire il diritto al lavoro e la sua legittimazione nella nostra amata Costituzione, per incitare alla speranza e alla rivolta delle menti.
Non voglio commentare questo, il rischio di scadere nella banalità è alto - tra l'altro non condivido molte delle cose dette. Però vorrei citare, in particolare, Maria Laura Ronzoni, una giovane cantautrice che ritorna sul panorama italiano dopo nove anni di verde Irlanda e che, visibilmente infastidita che la sua esibizione si sovrapponesse ai fuochi d'artificio :) , ha detto questo in merito al suo ritorno in Italia:
"rivoluzione è resistenza".
Stupendo. In una frase ha espresso alla perfezione quello che anche io penso profondamente.
Il Paese è allo stremo, siamo governati da una classe dirigente indegna, il nostro passato rifugge il presente e lo rinnega, all'estero ci conoscono per pizza, mafia e spaghetti (e per il bunga bunga), per grado di civiltà siamo prossimi al buco del culo del mondo. Le giovani e brillanti menti sono all'esasperazione e scappano, trovano rifugio in un esilio intellettuale e professionale all'estero, che per sensibilità ed opportunità li accoglie a braccia aperte.
Non sono nessuno per giudicare queste persone, sono fortunato perchè un lavoro ce l'ho, e tendenzialmente mi piace. Però amo il mio paese, e vorrei che chiunque ne avesse le capacità, si stringesse a coorte e combattesse, col cervello e l'impegno, contro un sistema che prima di tutto distrugge la propria magnificenza e tutto ciò che lo ha reso grande.
Resistenza attiva, passione e ferma volontà di cambiare le cose, partendo da quelle piccole, quelle che sono alla portata di tutti, cambiando attitudine di base (che si riflette poi su tutto il resto), invertendo la rotta sulla scala dei valori che ci guidano, e che propendono sempre più verso l'individualismo e l'assenza di etica.
Sulla rivista E di questo mese, un bellissimo articolo mostra, quartiere per quartiere, i luoghi di Parigi che hanno ospitato i grandi rivoluzionari del mondo, quelli che la storia l'hanno cambiata e che, pur da lontano, hanno faticato e sofferto per cambiare le sorti del propio paese e dei propri connazionali.
Il titolo dell'articolo è "Parigi ribelle" (l'articolo prende spunto da un libro che di sicuro leggerò). I tempi sono cambiati, grazie a Dio, e soprattutto "fortunato il paese che non ha bisogno di eroi", ma declinando l'esempio dei grandi della storia, forse qualcosa da fare ancora ci sta. Ed è responsabilità di ciascuno di noi farlo, soprattutto di chi più può, per il bene di tutti.
Italia ribelle più che un titolo è un buon auspicio.

martedì 3 maggio 2011

Il re è morto! Viva il re!

2 maggio 2011, Ground Zero è un tripudio di luci e di suoni, Time Square è piena di gente come fosse il primo giorno dell'anno nuovo. Per gli americani questa data rappresenta la fine di un'era, l'era del terrore: Bin Laden è morto, e con esso il brutto ricordo dell'11 settembre.
Vendetta è fatta, perchè di questo si tratta. Non è la fine di un'era, ma è l'inizio di un'altra, equivalente, violenta, intimidatoria. In Italia conosciamo bene il concetto di cupola, rimosso il vertice ce n'è subito uno pronto a sostituirlo, con velleità di manager di grande industria, i mille picciotti aspirano alla carica di boss, così come le centinaia di migliaia di mujaheddin aspirano alla carica di leader supremo di Al Qaeda.
La guerra non finisce con la morte del cattivo, la guerra finisce quando i cattivi saranno riconosciuti come tali, e il popolo affamato non avrà più bisogno di combattenti per la libertà e non sarà più vittima di demagogia spicciola.
Le guerre contro il terrorismo si vincono ponendo le condizioni affinchè il terreno non sia più fertile, si vincono con investimenti mirati al miglioramento delle condizioni di vita, con il miglioramento del grado di istruzione, con la sconfitta della fame, con l'autodeterminazione politica ed economica, con la fine dell'imperialismo.
Un rapporto ormai datato (Fonte La Repubblica 26 luglio 2010) parla di un costo vivo, appannaggio dei soli USA, di 1.021 miliardi di dollari. Con una tale cifra si potrebbe irrigare il deserto, costruire strade e scuole, ospedali ed acquedotti, fognature...con una cifra del genere si potrebbero costruire il rispetto e la dignità.
Le logiche non prevedono, naturalmente, strategie mirate alla soluzione del problema, perchè il problema  è la fonte del guadagno, non di tutti, ma di molti. Gli americani hanno prima armato i talebani, per contrastare l'avanzata dell'Unione Sovietica, li hanno poi combattuti, per contrastare l'avanzata dell'Islam integralista, cosa faranno domani?
Il narcobusinness dell'oppio, dapprima fortemente combattuto dal mullah Omar, all'avvento dell'operazione Enduring freedom riprese vigore e spinta grazie alla connivenza delle polizie di frontiera, addestrate e coordinate dai servizi segreti alleati. Il prezzo del petrolio tornò a salire, così come l'inflazione mondiale, il mondo fu contento di pagare le spese della lotta per la libertà...Lo stesso mondo che il 2 maggio ha gioito per la morte del demonio, e il giorno dopo ha duplicato le misure di sicurezza contro il rischio attentati.
Ma non era finita?

lunedì 2 maggio 2011

Strani sogni...

Sono un po' di notti che faccio sogni strani...non mangio pesante, non bevo, non faccio uso di droghe..ma faccio certi viaggioni degni di una peperonata al sugo di drago. L'effetto è che mi sveglio agitato, di solito alle 3.30 (puntuale come una dichiarazione dei redditi) e fatico a riaddormentarmi fino al suono della sveglia (6.15 - altrettanto puntuale).
Ne ho fatti due in particolare che mi hanno colpito, in breve:
1) sono in un campo di erba secca, visibilmente affaticato, con una pala in mano. Un uomo armato di pistola davanti a me mi dice, con aria tranquilla, come su tutto fosse normale: "Adesso scava". E io altrettanto tranquillo: "Dove qui? Va bene?". E lui: "si, si..scavati la fossa, falla giusta giusta". Io comincio a scavare e mi sale l'ansia, a metà tra il cosciente e l'incosciente sento che qualcosa non va. Arrivo al punto in cui so che sta per sparare, perchè la buca è finita e gli dico:"Non spararmi davanti, ho troppa paura, sparami dietro!" (molto coraggiosamente direi). E quello, senza attendere troppo, mi dice ok, io mi giro e lui spara. Cazzo! Un dolore fortissimo alla schiena, ultimo pensiero prima di svegliarmi davvero: "Ecco cosa si prova quando te sparano...". Mamma mia che paura, mi sono svegliato come se mi avessero sparato davvero! Mi faceva male la schiena...e il cuore batteva a 3000!
2) in quest'altro, sono alla guida dentro Roma. La mia ragazza è dietro di me, con un'altra macchina. Le dico di seguirmi e che ci saremmo rivisti a casa. Imbocco via Nazionale contro mano (cazzarola ogni dettaglio è nitidissimo...) e un vigile mi ferma e molto cortesemente (???Un pizzardone di Roma cortese???) mi dice di invertire la marcia perchè "Sta andando contromano signore :)". Io giro e procedo, mi guardo indietro, l'altra macchina non c'è più. Chiamo e mi dice: "scusa, in realtà ho parcheggiato a San Paolo, ho preso la metro e sono sul treno, ci vediamo a Porta Romana" (Porta Romana?????). Ok! Direzione Viterbo, mentre guido la macchina cambia forma, diventa una bicicletta...e la Cassia diventa una strada in salita, sempre più ripida. La terra sostituisce l'asfalto, faccio una gran fatica perchè si va sempre più a fondo, sempre più a fondo, sempre più a fondo...ora sono a piedi, mi arrampico, arranco, sbuffo. Accanto a me un bambino che fatica come me, ci incoraggiamo a vicenda. La terra si trasforma in enormi palloni (o zucche gigantesche), attraverso le quali cerco di arrivare al mio obiettivo: una sorta di tubo in vertroresina (tipo un tino, ma girato in orizzontale), da cui partono le zucche! Ci arrivo, mi infilo dentro e guardo giù, ci saranno 200 metri di strapiombo. Ah...tiro il fiato e penso: "Ora mi tiene, ma quando arriva anche il bambino, ci staremo tutti e due? Ci terrà?". Lì mi sono svegliato...stessa ansia.
Ora mi chiedo..."Ma sei sicuro che era solo Tabacco"????