lunedì 21 novembre 2011

Decrescita serena, ovvero "apologia dell'acrescita"

Sabato ho partecipato ad un seminario in cui si parlava proprio di questo, ovvero di come conciliare l'atteggiamento di crescita spasmodica che ci caratterizza (nella tecnologia, nell'economia, nella carriera...) con la finitezza di un mondo che ha raggiunto, ormai da tempo, i suoi confini. L'analisi è stata molto approfondita, con contributi macroeconomici e geopolitici che, lo ammetto, mi hanno lasciato spiazzato (..so di non sapere..) facendomi cogliere probabilmente l'1% dell'interesse verso la materia e, anzi, facendomi uscire con un senso di disagio. Mi domandavo infatti come sia possibile che nel mondo dei ricchi ci si debba complicare la vita nel demonizzare questa fortuna, addossandole le colpe di una continua frustrazione dovuta alla mancata soddisfazione di bisogni (sempre più indotti e sempre meno reali) che la società del consumo ci impone come status symbol.

Mi sto documentando un po' e, con le dovute cautele, l'argomento sta diventando abbastanza interessante. Cito Latouche, uno dei massimi teorici di questo nuovo approccio al consumo, e il suo modello dell 8 R:

rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare.

Rivalutare
significa creare un differente immaginario collettivo che colmi il vuoto di valori (amore della verità, senso della giustizia, responsabilità, rispetto della democrazia, elogio della differenza, dovere di solidarietà, uso dell’intelligenza), creando una nuova base etico-sociale. Su questa base Riconcettualizzare e Ristrutturare gli apparati produttivi e i rapporti sociali, nell’ottica di Ridistribuire le ricchezze e l’accesso al patrimonio naturale, rappresenta l'involuzione della globalizzazione a fronte della localizzazione (o località degli scambi).
La sostituzione del globale con il locale rappresenta infatti il fulcro di qualsiasi progetto di decrescita, come Latouche ben sintetizza affermando che “Se le idee devono ignorare le frontiere, al contrario i movimenti di merci e capitali devono essere limitati all’indispensabile” ed aggiungendo che la rilocalizzazione non deve essere soltanto economica ma “anche la politica, la cultura, il senso della vita devono trovare un ancoraggio territoriale”.

In questa ottica, anche i rifiuti del consumo diventano importanti. Infatti Riutilizzare e Riciclare restituisce utilità al rifiuto, ne riduce la produzione ulteriore e combatte l’obsolescenza programmata dei prodotti, frutto normalmente di accurate operazioni di marketing (in cui il bisogno si crea) che dell'utilità reale.

Latouche considera elemento fondamentale per una decrescita serena la valorizzazione dei “beni relazionali come l’amicizia e la conoscenza, il cui consumo non diminuisce le scorte esistenti ma le aumenta”. Nell'ottica quindi di uno scambio di equivalenti (denaro a fronte di prodotto) introduce una nuova valuta (tempo a fronte di relazioni).

Insomma, rivalutare la propria scala di valori dando maggiore enfasi all'essenzialità a fronte delle sovrastrutture che il consumismo ci impone restituisce la giusta posizione alle cose e apre spiragli al mondo delle relazioni. Se non sono alla ricerca spasmodica di un bisogno materiale ho tempo ed energie da dedicare a tutto il resto.

E questo è un bel motto.

venerdì 18 novembre 2011

Istituzioni e cittadini: una spaccatura incolmabile? Il 26 novembre, a Montalto di Castro, una prospettiva differente

Una opinione diffusa, una certezza dirompente, uno stato d'animo ineluttabile.
Condizioni che vincolano drasticamente la considerazione della cosa pubblica da parte dei cittadini, dell'uomo della strada. La convinzione che il proprio punto di vista non sia importante e che le proprie proposte di miglioramente siano, a prioristicamente, relegate nel fondo dei cestini dei Palazzi influenzano molto la partecipazione attiva di chi invece le cose vorrebbe cambiarle, di chi sente ancora vivo il senso di appartenenza alla propria comunità e vorrebbe, con impegno e dedizione, parteciparvi (nel senso etimologico dell'esserne parte integrante).
Salendo di importanza nella gerarchia delle istituzioni, da quelle comunali, provinciali, regionali a quelle nazionali, il distacco e l'a-politica aumentano, rendendo ancora più profondo questo baratro e garantendo agli abitanti di questi palazzi il pieno controllo di tutto, soprattutto dei nostri destini.
Un'alternativa, però, è forse proponibile.
Da tempo, molti comuni italiani sono impegnati in una sfida, complessa ma stimolante. Questi visionari hanno fatto proprio il concetto di "inclusione", di "co-progettazione", di "democrazia partecipata" e hanno dato vita ad un esperimento: la pianificazione strategica partecipata.

Il Piano Strategico partecipato è un atto volontario di pianificazione e condivisione di una interpretazione futura del territorio, mediante politiche e interventi pubblici e privati. E’ un’occasione per costruire un futuro partecipato; dopo essere stato concertato, viene infatti firmato congiuntamente da tutti gli attori principali che lo condividono.
Le idee, le opinioni, le competenze di tutti i soggetti della vita sociale, culturale, economica, scientifica e politica della città, messe in comune, si trasformano in scelte condivise per un progetto concreto di sviluppo del territorio.


Di questo vorremmo parlare insieme, a Montalto di Castro, il 26 novembre, coinvolgendo per primi gli attori del Terzo Settore, le organizzaioni no profit, gli enti di promozione sociale e culturale, uomini e donne che vedono nella cooperazione e nella sussidiarietà la risposta ad un bisogno sociale.
Con loro vogliamo parlare dei Piani sociali di zona, di cosa siano, di come sia possibile redigerli in un'ottica partecipata, di come questo atteggiamento rappresenti un'ottima opportunità di ridurre i costi dell'intervento, di renderlo più mirato, più efficace, più in linea con i bisogni e con le necessità della popolazione.
Con loro vogliamo iniziare un cammino, una riforma profonda nel modo di pensare il nostro paese.

Un modo diverso di concepire l'amministrazione locale è possibile, esiste ed è consolidato; invertire i processi decisionali, renderli realmente democratici lo è altrettanto.
Il terzo settore è il primo di una lunga serie di aree su cui declinare questo nuovo "modello di pensiero": il lavoro, la promozione turistica, la trasparenza amministrativa, l'urbanistica, l'artigianato, l'agricoltura sono solo alcuni dei settori che dalla partecipazione popolare traggono le loro migliori idee.

Proviamoci insieme!

giovedì 17 novembre 2011

Artefici del cambiamento: la parola alla gente

Sto chiudendo il mio intervento previsto per questa sera. Tutti i pezzi girano a dovere e mi sembra che anche i collegamenti tra una materia e l'altra siano abbastanza coerenti. Domani mattina pubblicherò un post in cui racconto nel dettaglio la linea che vorremmo seguire, una sorta di strategia politica di attuazione sul tema, che ha molto di strategia, ma poco di politica.
La tensione, benchè chi mi sta vicino dica il contrario, comincia a salire. Non mi preoccupa tanto il confronto con la platea (non è questo), nè il fatto di non essere preparato (conosco per esperienza personale la materia e in questi giorni ho studiato molto, cercando riferimenti normativi e buone pratiche che sostenessero la mia proposta).
Morale della favola: la sostanza ce l'abbiamo.
E' proprio questo che mi spaventa. Ho identificato adeguatamente il mio concetto di "sostanza"? O sto solo proponendo qualcosa che non sarà recepito e, di conseguenza, apprezzato? Il tema è forse troppo lontano dai bisogni delle persone, che si sentiranno prese in giro dall'ennesimo cantastorie?  Questo non potrò saperlo fino a che non avrò riscontri dalla gente, e forse neanche in quell'occasione avrò la certezza che il messaggio sia davvero arrivato.
Ragionandoci però con alcuni amici e con la mia famiglia, ho raggiunto la consapevolezza che quella che vado a raccontare è la MIA idea della politica, non l'idea che la gente vorrebbe ascoltare da me. La demagogia non è mai stato il mio forte e raccontare balle insostenibili neanche.
Proporre un processo alternativo, fatto di programmazione a lungo termine, di concertazione, di scambio continuo, di controllo e monitoraggio trasparente, è l'unica via che ritengo vincente per aprire l'uscita dalla crisi.
Badate bene...per aprire l'uscita dalla crisi, non per uscirne! Il lungo termine degli obiettivi di cui parlerò mi preoccupa altrettanto, insieme all'impegno che la scommessa richiede ai miei concittadini. Ma, anche qui, non vedo alternative altrettanto efficaci, se non iniziare con obiettivi lungimiranti a cui devono seguire azioni pesanti.
La saggezza delle folle è quanto di più efficace io ritenga in questo momento, la sua valorizzazione e la sua centralità dei fattori vincenti su cui voglio puntare.
Staremo a vedere.